Aprile mese della prevenzione alcologica

Altro

dal 1 aprile 2015 al 30 aprile 2015 

immagine_alcool

Eventi, dibattiti e manifestazioni sportive per lanciare un importante messaggio: il bere può danneggiare la salute
Un fattore di rischio spesso trascurato, un problema che viene riconosciuto troppo tardi, un’abitudine dannosa ma socialmente accettata e, a volte, addirittura incoraggiata. L’alcol è tutto questo e l’Azienda per l’Assistenza Sanitaria, grazie all’organizzazione della Struttura Complessa Dipendenze Legali e alla collaborazione delle associazioni di volontariato, torna anche quest’anno a proporre il “Mese della prevenzione alcologica”, una serie di eventi e iniziative di sensibilizzazione rivolti alla cittadinanza. Tra le abitudini rischiose per la propria salute, il consumo di alcol è quello di cui si ha meno consapevolezza e questo porta a sottovalutarne le numerose conseguenze negative.
Una sottovalutazione a cui sono portati anche gli addetti del settore sanitario, ai quali il “Mese della prevenzione alcologica” si rivolge in maniera particolare. Una recente indagine svolta dall’Aas1 ha infatti rilevato che, nel 2013, solo al 21% delle persone che si sono recate da un medico sono state chieste informazioni in relazione al consumo di alcol. Un dato ancor più allarmante è quello della percentuale di bevitori a rischio a cui un operatore sanitario abbia consigliato di bere meno: solo il 3%.

Un nuovo modello di consumo
La percentuale di bevitori nel territorio della provincia di Trieste è rimasta stabile al 63,9% della popolazione, ma c’è stato un aumento di chi consuma alcol fuori dai pasti (25,8%), segnale di un forte cambiamento in atto nel modo in cui l’alcol viene assunto e del ruolo che ha nel contesto sociale.
Quasi il 27% della popolazione residente nel territorio dell’Aas1 ha comportamenti alcol-correlati definiti a rischio. Il 5% consuma abitualmente elevate quantità di alcol, il 12% lo fa fuori dai pasti e il 15% ricade nel fenomeno del “binge drinking”, il consumo di grandi quantità di alcol in un breve lasso di tempo con l’obiettivo di raggiungere velocemente l’ubriacatura. Si tratta di un comportamento che coinvolge soprattutto i giovani, una fascia di popolazione particolarmente colpita dagli effetti negativi dell’alcol, basti pensare che in Europa rappresenta la principale causa di morte per i giovani fino ai 29 anni.

Il ruolo della pubblicità
Nel cambiamento in atto nelle abitudini e nella socialità del bere, soprattutto tra i giovani, un ruolo importante è svolto dall’immissione sul mercato di nuove bevande alcoliche e di nuove forme, dirette o indirette, di pubblicità. Grazie alla pubblicità, infatti, il “tradizionale senso del bere” è stato trasformato in un valore dedicato alle giovani generazioni che ora hanno a disposizione una vasta gamma di nuovi prodotti, con fascino estetico, gusti innovativi e simbolici. Un dato su tutti: dal 2007 al 2010, in Europa, gli investimenti pubblicitari per bevande alcoliche sono praticamente raddoppiati, passando da 169 milioni di euro a 309 milioni di euro.

Rischi non solo al volante 
Il principale rischio legato all’alcol nell’opinione pubblica è quello della guida in stato di ebbrezza, ma non sono da sottovalutare gli effetti negativi, diretti ed indiretti, che questa sostanza ha sulla salute. Il consumo di alcol infatti comporta problemi sia per chi rientra nel tradizionale quadro clinico dell’alcolismo, sia per chi adotta stili di consumo a rischio. L’alcol è causa di oltre 200 tra patologie e condizioni problematiche e, oltre ad indurre dipendenza, è anche tossico, cancerogeno, psicotropo, immunosoppressivo, teratogeno (che causa malformazioni al feto), calorico e al tempo stesso “anti-nutriente”.
Per quanto riguarda invece la guida in stato di ebbrezza, l’indagine condotta dall’Aas1 ha rilevato che si tratta di un problema diffuso, che coinvolge poco meno di un guidatore su dieci. Un terzo degli intervistati ha riferito di essere stato fermato dalle Forze dell’Ordine per un controllo negli ultimi 12 mesi, una percentuale in linea con il dato nazionale ma sensibilmente inferiore rispetto alla media regionale che si attesta sul 44%.